domenica 25 ottobre 2009

Un gesto d'amore per me

Angela è attualmente in ospedale. Ricoverata stamattina.
Non voglio indugiare nel dire cosa le è successo: ha cercato di strapparsi l'abominevole condiloma con un cacciavite (arrugginito, fra l'altro).

L'ha trovata suo padre in camera da letto, dopo aver sentito un urlo lancinante. L'ha trovata riversa sul letto, pare svenuta, e alla raccapricciante visione (un robo lungo e molliccio mezzo strappato, da cui usciva abbondante sangue a grumi impastati di pus) ha vomitato a terra.
Questo è quanto sono riuscito a sapere.
Ma non mi bastava.
Lei lo aveva fatto per me, dopo la vergogna subita pochi giorni fa...
...un gesto d'amore.

Sono andato a casa di Angela, mentre la famiglia era al suo capezzale in ospedale. E sono salito in camera sua.

Pezzettini di cordolo sparsi sul letto - matrimoniale (per farla stare comoda data la sua stazza).

Sangue ormai rappreso.

La mia attenzione si fissa sul brano condilomatoso più voluminoso, grosso circa come mezzo mignolo. Lo tocco, lo stringo tra due dita. Sembra un blocchetto di gelatina, ma ad ogni stretta si svuota, perdendo liquami appiccicosi. Come una medusa che nuota in un mare di pus.

L'odore - pesce pesce pesce. Marcissimo, come fatto putrefarre sotto un covo di feci verdastre.

Un attimo, e me lo spingo su per una narice. Quel blocchetto di escrescenza virale - voglio viverlo.
Arriva improvviso al cervello un tanfo che non credevo possibile trovare insopportabile, io, abituato a quel che sono abituato.

Manca il fiato.
Non respiro.
Sento che dalla narice mi passa in gola. Lo ingoio. Che sensazione, come deglutire un cubetto di catarro.

Noto una macchia scura. Angela, dallo sforzo o dallo spavento, durante la turpe operazione si era cacata addosso, evidentemente. Inumidisco il lenzuolo con tutta la bava che ho in corpo, e lecco, lecco, lecco i rimasugli di nuovo freschi.

Mi sdraio su quel letto ricettacolo di ogni malattia.
Un altro gesto istintivo: lo tiro fuori, mi masturbo.
Ovviamente non riesco a venire. Ma le mani zozze mi avranno infettato un po' il membro - voglio essere come Angela, il mio Angelo!

Scendo giù, prendo un bicchiere e un po' d'acqua. Nell'alzarmi, pesto il vomito paterno, e cerco minuziosamente se vi sono tracce del sesso angelico. Mi sembra di averne trovata una - ma a un'analisi più attenta, è un pezzo d'aglio mezzo digerito eruttato dal padre. Immagino che mi piacerebbe infilarmelo come fosse una supposta - ma solo se l'avesse mangiato lei.

Porto su il bicchiere, e riunisco tutti i pezzettini papillomatosi spiaccicati sul lenzuolo e sulla moquette, fin dove arriva la pozza di vomito del padre.
E uno a uno, li caccio nel bicchiere.

Una bevanda densa, grumosa, giallo ocra, dalla carica batterica devastante.
E giù in un sorso. Mi va anche di traverso: meglio anche trachea e narici si sono imbevute dell'essenza di Angela. È come se ci fossimo uniti sessualmente.

Ogni tanto mi viene su il vomito, ma lo blocco in bocca e deglutisco.
Per quello che spruzza fuori dalle narici, lo lecco ovunque cada.

sabato 17 ottobre 2009

Nemmeno lei era vergine

Non ci potevo credere. Nemmeno Angela era ancora vergine. Stupro o serata finita in sbornia, la sicurezza della sua innocenza perduta l'ho avuta ieri sera, appena tornato dai miei.

"Vai da Angela, e conoscetevi meglio".
Mio padre. Il conoscersi sessuale, ovviamente. Ormai, dopo aver rilasciato nel mio retto tutto lo sperma trattenuto in una vita, non ha più peli sulla lingua.

Angela e io. In una stanza gelata, a casa sua.
I miei -e i suoi- escono, per lasciarci soli. Che gentili...

Lei trema, e con un filo di voce: "Dovremmo spogliarci, mi hanno detto".
Pure io, tutto dire, mi rendevo conto di quanto fosse umiliante la situazione.

Puzzava anche lei, come si fosse spalmata della cacca sotto le ascelle, e poi si fosse messa a sudare come una pazza.

Le ascelle: che peli lunghi! Quasi più ispidi e melmosi dei miei.

Che tette, però: come piacciono a me. Lunghe, lunghissime, ricordavano quelle della vecchia dell'ASL. I capezzoli asimmetrici e di dimensioni differenti: l'uno seminascosto e minimo, l'altro centrale e globoso. Un po' di sporcizia nerastra nel durevole solco.

Il resto dello striptease, mi ha visto del tutto inerme. Non la guardavo nemmeno, e lei me ne era grata. Mi accorgevo che si toglieva vestiti dall'odore mefitico di sozzume sempre più intenso.

Infine, tutta nuda, si alza in piedi e mi si para davanti, con le gambe (enormi) che tremavano e le pupille dilatatissime.
"Dovresti guardarmi".
Istruzioni dei nostri genitori, credo.

Alzo gli occhi, subito mirando verso l'incontrarsi delle gambe piene di solchi e smagliature. Volevo vedere dal vivo un organo femminile, tutto per me.

Protubera un cordolo di carne. Sul momento sembrava quasi un pene, invece era la prova che, lì sotto, qualcosa doveva essere già successo. Tra le gambe, dai peli unti del pube, le penzolava un enorme condiloma, sul quale erano cresciuti a sua volta altri papillomi.
Molle e purulento, emanava un odore che solo le mie insalubri abitudini mi permettevano di sopportare. Sopra quel grappolo di polipetti, era cresciuto anche qualche pelo durissimo, quasi fossero aghi. Evidentemente, il virus che la aveva ridotta così se lo doveva essere preso in qualche occasione.
Tremava angosciata, non sapeva che fare per distogliere la mia attenzione da quel molle insulto alla salute. Era troppo tesa, vedevo che stringeva le gambe impaziente, strizzando quasi il turpe condiloma. Non era solo tensione: si stava pisciando addosso, e qualche goccia le cadde nonostante i suoi sforzi. L'urina andò a scottare il cordolo carnoso, e lei sbiancò dal dolore.

Alcune dense polluzioni giallo-biancastre caddero sul pavimento.
Empatia? Forse, ma mi pisciai addosso senza neanche accorgermene. Lei fissò un attimo i miei pantaloni bagnarsi, ma distolse subito lo sguardo, appena la fissai.

Si risedette, e si vestì. Andò via poco dopo.
Non aveva il coraggio di aggiungere: "Ora dovresti spogliarti tu".

giovedì 8 ottobre 2009

Già

Già, ho fatto sesso.

Mi sono abbassato ulteriormente nel mio vortice involutivo.

Ma come, hai avuto un rapporto sessuale, ti sei evoluto!

Ma il mio è stato incesto. L'ho fatto con mio padre.
Non ce la facevo più. Dovevo andare in bagno e pisciare. 18 diciotto XVIII ore senza orinare, e contro il bruciore, mio padre mi faceva ingoiare litri d'acqua.
Quell'aguzzino...

Non ce la facevo, cazzo.

Un gesto felino, per quanto felino possa essere io, e filato verso il bagno.
Mio padre, in cucina, se ne accorge, e mi insegue.

Io, ancora prima di andare di fronte alla tazza del cesso, lo tiro fuori stremato. Mio padre mi molla un tizzone un pieno volto, e stringe con violenza quel ridicolo organo che già stava emettendo un fiotto spaventoso di urina.
Lo stringe a tal punto, da ingolfarlo di piscio, per quanto emettesse liquido con violenza.
Sono lì lì per svenire, ma... la prima volta in vita mia, eccetto quell'esperienza inutile con la prostituta dell'anno scorso, che qualcun altro prende in mano il mio membro.
E all'improvviso: l'erezione.
Mio padre era sconvolto.
Allora funzionava!

A quel punto, tra croste di cacca rinsecchite sul muro, e un tappetino da bagno non lavato da oltre 5 anni, era tutto abbastanza avvilente per potermi testare fino in fondo.
Mi guarda e mi intima: "Fammi vedere che puoi eiaculare!".

Sto zitto e fermo.

"Fammi vedere che puoi e-ia-cu-la-re".

Tremo, sudo. Puzzo di rancido.

"Ma basta!". E inizia a muovere la pelle del mio membro su e giù con rabbia e violenza, fino quasi a farlo sanguinare.

Mezz'ora. Io stavo vivendo un'esperienza orrenda.

Ci rinuncia.

Ma a me resta duro. E non va più giù. Troppi arretrati?
Il secondo miracolo: un gonfiore alieno nei pantaloni di mio padre.

Impazzisce.

Mi getta a terra con violenza. Io batto con violenza il pene rigido sul pavimento (il livido è ancora lì).
Mi abbassa i pantaloni, mi penetra con violenza.

Ci mette un attimo.

Io resto a terra soffocante. Lui se ne va a dormire.