lunedì 13 giugno 2011

Il mestruo di una troia

Ci ho riprovato. Sono andato di nuovo a puttane, dopo il disastroso tentativo di due anni fa, quando rimediai solo una figuraccia e un paio di pantaloni cacati.

Stavolta mi sono organizzato meglio: più psicofarmaci e anche un po' di alcool prima di recarmi sui peccaminosi viali (ovviamente in una zona diversa dall'altra volta), un blocchetto di soldi (i miei ultimi risparmi, dovrò cercare un nuovo lavoro) ben in vista in mano, e un biglietto dell'autobus da obliterare con audacia.

Scendo al capolinea.
Un strada a doppio senso di marcia, costeggiata da alti alberi e una pineta che raggiunge le prime case, quasi ruderi sicuramente abitati abusivamente.
Le donne del mio desiderio stanno là, a poche decine di metri di distanza, conversano tra loro e ogni tanto ridono, sicuramente parlando con disprezzo dei loro clienti. Gente che, rispetto a me, farebbe comunque un figurone.

Mi avvicino, ma appena la giacca di una di loro si apre e rivela la totale assenza di altri vestiti, palesando lo splendido seno dai capezzoli bitorzoluti, arretro terrorizzato.
Non ce la farò neanche stavolta.
Poi il miracolo: finalmente i superalcolici e il Bromazepam iniziano a fare il loro effetto combinato, e una vampata di caldo e di sonno mi investe improvvisa. Mi avvicino, come se fossi in un sogno, vedo la scena dall'esterno.
Punto a una ragazza che sembra la più affabile, si vede che è inesperta e un po' timorosa. Non avrà sicuramente più di 19 anni.

Appaio quasi all'improvviso di fronte a lei. Per quello che mi ricordo, indossava un body nero, da cui a fatica si scorgevano un paio di tettine appuntite. Le gambe snelle, i capelli scuri e il trucco pesante sopra gli occhi è tutto ciò che rammento.
Non dico nulla, le mostro solo i soldi con la mano che mi trema.
Lei, impaurita e disgustata dal nausebondo puzzo che emano, arretra e mi dice qualcosa che non capisco. Le chiedo di ripetermelo parecchie volte, finché non grida, in un italiano stentato, qualcosa come: "Non posso, ho mie cose!".
Ho realizzato solo una volta tornato a casa che era una scusa... rifiutato persino da una puttana minorenne...

Una donna più grande, capita la situazione, si avvicina e mi dice: "Non hai capito? Vuoi scopare o berti le sue cose?", convinta di disgustarmi.

Invece, il secondo miracolo.

Un'erezione!
Piena, vigorosa, seppur dolorosissima, nonostante le sostanze ingurgitate per farmi coraggio avrebbero dovuto inibirla.
Il pensiero del liquido denso, sanguigno, puzzolente e certamente pieno di virus, secreto da una vagina sfondata e infiammata, grondante pus e sperma rappreso mi ha eccitato in un modo inedito.

"Ti prego, ti pago quanto vuoi... fammi bere le tue cose..." dico emettendo gas fetidi dalla mia bocca incrostata di tartaro.

Le due prostitute restano sorprese e scioccate, ma non per molto. Al che la più grande mi dice di aspettare, che mi avrebbe portato un po' di quella roba.
Io, reso audace dal minuscolo pene rigido, la avverto che pagherò solo se potrò raccogliere io stesso il mestruo che sgocciolerà dalle grandi labbra della ragazzina.
"Ti costerà molto"
"Quanto?"
"Almeno 4000 euro. Tu quanti ne hai?"
Non riesco a contarli, me li strappa di mano l'arpia e poi li getta per terra.
"Troppo pochi, torna tra una settimana esatta con i soldi".

Me ne vado senza salutare, a piedi per ore dopo aver perso l'ultimo autobus notturno. A ogni passo il culo mi brucia fin quasi a perdere i sensi, per via delle croste fecali che lo infettano da mesi.

Come abbia fatto a ottenere tutti quei soldi, è ovvio. Come pagare gli usurai ci penserò un'altra volta.

Ieri sera, finalmente, la grande notte. Arrivo lì, appena mi vedono smettono tutte di parlare. Io tremo. L'anziana del gruppo si avvicina, mi strappa la busta coi soldi e li conta. Poi si abbassa la minigonna (le mutande non le aveva) e mi dà un bicchiere sporco di terriccio.
"Forza, mettimelo sotto e se provi anche solo a sfiorarmi, ti facciamo tutte a pezzi".
Io balbetto: "Ma non tu... lei...", e indico la ragazzina con le tettine e il body.
Lo sguardo minaccioso di tutte insieme in cerchio mi fanno desistere da ogni altra protesta.

Metto il bicchiere sotto le gambe della puttana, pronto a ricevere quello che, a occhio e croce, doveva essere l'ultima mestruazione della sua vita, o quasi.
Rilascia improvvisa le grandi labbra, che fino a quel momento erano rimaste contratte per non fare uscire inopportunamente il prezioso oro rosso.

Ploch, ploch. Due pesanti grumi rappresi si schiantano nel bicchiere, uno dei due esplode fragoroso e lorda il contenitore già sporco di suo, liberando un tanfo di sangue marcio, pesce ammuffito e sperma malato.
La guardo, aspetto che caschi altro. Per 4000 euro e la mia vita in mano a un tagliagole mi sembra un po' poco.
Cade un'altra minuta goccia di sangue, poi la troia mi fa cenno di sparire.

"Ma...", mi appresto a protestare, ma le parole mi si strozzano in gola. Una prostituta nera, grassoccia e dalle forme eccessive tira fuori un coltello e mi chiede, in italiano maccheronico, se ci tengo a tornare a casa con il pisello attaccato al corpo. In realtà non me ne importa nulla, ma scappo terrorizzato.
Taglieggiato da un gruppetto di clandestine sfruttate, che ridono e fanno vocine di disgusto mentre fuggo come una lepre ferita.

L'erezione della settimana prima è solo un blando ricordo.

Guardo il bicchiere, annuso. C'è odore di germi, germi di ogni tipo, come uno starnuto impastato con la diarrea prelevata dall'intestino di un morto di colera.
Tra il sange coagulato si intravedono anche dei pallini bianchi: uova di piattole, grumini di sperma antico o entrambi?

Bevo tutto di un sorso, apatico, senza alcuna voglia.

E torno a casa, sconfitto su ogni fronte.

giovedì 20 gennaio 2011

Stracchino

Ho il pisello davvero piccolo. Non bastava essere brutto, tozzo, disadattato, instabile. No, pure quello.

Per dare al ridicolo membro un senso di esistenza (non che mi serva a qualcosa, sia chiaro), ho deciso di tagliarmi i peli pubici. Così, senza il cespuglione che letteralmente nasconde il pisellino, almeno posso ammirarlo, sperando che si decida ad erigersi ogni tanto. Non ho neanche lo sfogo della masturbazione.

Prendo delle forbicine e pazientemente tagliuzzo i peli ispidi, lunghi, riccioluti e rancidi, crostosi e giallognoli. L'odore che si sprigiona è agghiacciante, persino per me. A un certo punto, delle piccole palline biancastre cadono a terra: a un'esame più attento, si rivelano essere uova di qualche insetto, che in quel microhabitat aveva trovato la dimora ideale.

I peli sono infine tutti a terra, che si attraggono l'un l'altro elettrostaticamente, è un autentico cespuglio di sporcizia.

Guardo quel groviglio fetido, e mi viene fame.

Apro il frigo, c'è un panetto di stracchino, curiosamente non ancora scaduto.

Apro la confezione.

Il panetto è bianco, troppo pulito e perfetto per me.

Mi giro.

Guardo i peli.

Mi giro.

Guardo lo stracchino.

Raccolgo i peli.

Ho la mano densa di grumi pelosi, unta, untissima.

Un colpo, e inzio a impastare i peli nel panetto di stracchino. Una palla pelosa e appiccicosa viene a formarsi di fronte ai miei occhi, sono quasi eccitato.

Inizio a mangiare la prelibatezza. Alcuni peli mi vanno di traverso; la pasta bianca e ispida si va a spiaccicare sui denti pieni di pezzetti arancioni di tartaro.

Alcuni peli, lunghi e insidiosi, mi restano incagliati tra i denti, e non ho nessuna voglia di togliermeli. Il giorno che lo farò, verranno via con blocchetti ingenti di sozzume.

Un pezzo di stracchino peloso mi va di traverso, con un piccolo rigurgito mi sale su un vomito che brucia, e si ferma nell'esofago.


Dopo rutto: vi lascio immaginare l'odore.

venerdì 7 gennaio 2011

Nel baratro. Di nuovo.

La mia lunga assenza non è stata dovuta né a morti o eventi infausti, né a noia.

Cacciato fuori di casa dai miei (che nel frattempo avevano scoperto la tresca con Alberto), sono tornato nel mio squallido tugurio e ho deciso di voltare pagina.

Per prima cosa, ho cercato e trovato una filippina che, bisognosa di denaro e priva di permesso di soggiorno, ha accettato di pulire casa mia. Era vecchia e sdentata, e dormiva spesso all'addiaccio. Con i miei soldi, si è potuta almeno permettere qualche sbronza. Ero divenuto all'improvviso spavaldo e pieno di vita, tanto che un giorno toccai anche il culo alla domestica. Lei, rassegnata allo schifo, dalla volta successiva prima di iniziare i duri lavori mi toccava per una decina di minuti il pisello moscio (e che tale restava), in un quadretto triste e infantile anche per dei bambini alle prime scoperte.

Dopo essermi persino fatto la doccia, sono andato alla ricerca di un lavoro. Per chi è disposto a tutto, non è dura trovare qulacosa come molti vogliono fare credere. Andai in un ospizio, e quando il direttore, un prete ultraottantenne, mi disse che se volevo fare l'inserviente, avrei dovuto pulire le cacate dei vecchi e molto peggio ancora, io mi sentii al settimo cielo.

Una notte, preso dalla felicità (o qualcosa di non troppo distante), per un momento ebbi addirittura un'erezione. Con il cuore che batteva a 1000, cercai di farla fruttare muovendo con violenza sovrumana la pelle su e giù. Dopo giorni mesi anni senza un orgasmo, perdendo solo un po' di seme durante pisciate che bruciano come l'inferno, non ce la facevo più a tenere tutto dentro. Una sorta di languore mai provato prima mi stava invadendo la punta del microfallo, una sorta di preorgasmo iperamplificato. Dopo una devastante masturbazione durata quasi un'ora, la lunghissima erezione cessò senza essermi potuto liberare. Il sudore rancido grondava sul letto di nuovo pieno di schifezze, dopo solo una settimana che avevo congedato la vecchia toccatrice.

Mi ricapitò per una settimana intera, ma nulla. Dopo, una mattina andai in bagno, mi scappava fortissimo la pipì. Non riuscivo a fare uscire nulla, nonostante la vescica mi stesse scoppiando. Sentii che avevo un'ostruzione nell'uretra. Dopo inutili strizzature per fare uscire l'intrusco, cacciai uno stuzzicadenti nel buchino del pene, ed estrassi un immane pallocco di sperma rappreso. Finalmente un'eiaculazione, ma nel mio stile. Senza piacere, senza relax, solo un insostenibile dolore.

Non ho voglia di raccontare, almeno ora, perché non lavoro più all'ospizio.

Adesso sono dieci giorni che sto sdraiato dentro una cassapanca, in un bagno rilassante di escrementi di ogni consistenza, con il pc unico amico. Ero uscito alla luce, ma ora è peggio di prima. Ormai sono rassegnato, non chiedo più neanche aiuto.