Angela è attualmente in ospedale. Ricoverata stamattina.
Non voglio indugiare nel dire cosa le è successo: ha cercato di strapparsi l'abominevole condiloma con un cacciavite (arrugginito, fra l'altro).
L'ha trovata suo padre in camera da letto, dopo aver sentito un urlo lancinante. L'ha trovata riversa sul letto, pare svenuta, e alla raccapricciante visione (un robo lungo e molliccio mezzo strappato, da cui usciva abbondante sangue a grumi impastati di pus) ha vomitato a terra.
Questo è quanto sono riuscito a sapere.
Ma non mi bastava.
Lei lo aveva fatto per me, dopo la vergogna subita pochi giorni fa...
...un gesto d'amore.
Sono andato a casa di Angela, mentre la famiglia era al suo capezzale in ospedale. E sono salito in camera sua.
Pezzettini di cordolo sparsi sul letto - matrimoniale (per farla stare comoda data la sua stazza).
Sangue ormai rappreso.
La mia attenzione si fissa sul brano condilomatoso più voluminoso, grosso circa come mezzo mignolo. Lo tocco, lo stringo tra due dita. Sembra un blocchetto di gelatina, ma ad ogni stretta si svuota, perdendo liquami appiccicosi. Come una medusa che nuota in un mare di pus.
L'odore - pesce pesce pesce. Marcissimo, come fatto putrefarre sotto un covo di feci verdastre.
Un attimo, e me lo spingo su per una narice. Quel blocchetto di escrescenza virale - voglio viverlo.
Arriva improvviso al cervello un tanfo che non credevo possibile trovare insopportabile, io, abituato a quel che sono abituato.
Manca il fiato.
Non respiro.
Sento che dalla narice mi passa in gola. Lo ingoio. Che sensazione, come deglutire un cubetto di catarro.
Noto una macchia scura. Angela, dallo sforzo o dallo spavento, durante la turpe operazione si era cacata addosso, evidentemente. Inumidisco il lenzuolo con tutta la bava che ho in corpo, e lecco, lecco, lecco i rimasugli di nuovo freschi.
Mi sdraio su quel letto ricettacolo di ogni malattia.
Un altro gesto istintivo: lo tiro fuori, mi masturbo.
Ovviamente non riesco a venire. Ma le mani zozze mi avranno infettato un po' il membro - voglio essere come Angela, il mio Angelo!
Scendo giù, prendo un bicchiere e un po' d'acqua. Nell'alzarmi, pesto il vomito paterno, e cerco minuziosamente se vi sono tracce del sesso angelico. Mi sembra di averne trovata una - ma a un'analisi più attenta, è un pezzo d'aglio mezzo digerito eruttato dal padre. Immagino che mi piacerebbe infilarmelo come fosse una supposta - ma solo se l'avesse mangiato lei.
Porto su il bicchiere, e riunisco tutti i pezzettini papillomatosi spiaccicati sul lenzuolo e sulla moquette, fin dove arriva la pozza di vomito del padre.
E uno a uno, li caccio nel bicchiere.
Una bevanda densa, grumosa, giallo ocra, dalla carica batterica devastante.
E giù in un sorso. Mi va anche di traverso: meglio anche trachea e narici si sono imbevute dell'essenza di Angela. È come se ci fossimo uniti sessualmente.
Ogni tanto mi viene su il vomito, ma lo blocco in bocca e deglutisco.
Per quello che spruzza fuori dalle narici, lo lecco ovunque cada.
Non voglio indugiare nel dire cosa le è successo: ha cercato di strapparsi l'abominevole condiloma con un cacciavite (arrugginito, fra l'altro).
L'ha trovata suo padre in camera da letto, dopo aver sentito un urlo lancinante. L'ha trovata riversa sul letto, pare svenuta, e alla raccapricciante visione (un robo lungo e molliccio mezzo strappato, da cui usciva abbondante sangue a grumi impastati di pus) ha vomitato a terra.
Questo è quanto sono riuscito a sapere.
Ma non mi bastava.
Lei lo aveva fatto per me, dopo la vergogna subita pochi giorni fa...
...un gesto d'amore.
Sono andato a casa di Angela, mentre la famiglia era al suo capezzale in ospedale. E sono salito in camera sua.
Pezzettini di cordolo sparsi sul letto - matrimoniale (per farla stare comoda data la sua stazza).
Sangue ormai rappreso.
La mia attenzione si fissa sul brano condilomatoso più voluminoso, grosso circa come mezzo mignolo. Lo tocco, lo stringo tra due dita. Sembra un blocchetto di gelatina, ma ad ogni stretta si svuota, perdendo liquami appiccicosi. Come una medusa che nuota in un mare di pus.
L'odore - pesce pesce pesce. Marcissimo, come fatto putrefarre sotto un covo di feci verdastre.
Un attimo, e me lo spingo su per una narice. Quel blocchetto di escrescenza virale - voglio viverlo.
Arriva improvviso al cervello un tanfo che non credevo possibile trovare insopportabile, io, abituato a quel che sono abituato.
Manca il fiato.
Non respiro.
Sento che dalla narice mi passa in gola. Lo ingoio. Che sensazione, come deglutire un cubetto di catarro.
Noto una macchia scura. Angela, dallo sforzo o dallo spavento, durante la turpe operazione si era cacata addosso, evidentemente. Inumidisco il lenzuolo con tutta la bava che ho in corpo, e lecco, lecco, lecco i rimasugli di nuovo freschi.
Mi sdraio su quel letto ricettacolo di ogni malattia.
Un altro gesto istintivo: lo tiro fuori, mi masturbo.
Ovviamente non riesco a venire. Ma le mani zozze mi avranno infettato un po' il membro - voglio essere come Angela, il mio Angelo!
Scendo giù, prendo un bicchiere e un po' d'acqua. Nell'alzarmi, pesto il vomito paterno, e cerco minuziosamente se vi sono tracce del sesso angelico. Mi sembra di averne trovata una - ma a un'analisi più attenta, è un pezzo d'aglio mezzo digerito eruttato dal padre. Immagino che mi piacerebbe infilarmelo come fosse una supposta - ma solo se l'avesse mangiato lei.
Porto su il bicchiere, e riunisco tutti i pezzettini papillomatosi spiaccicati sul lenzuolo e sulla moquette, fin dove arriva la pozza di vomito del padre.
E uno a uno, li caccio nel bicchiere.
Una bevanda densa, grumosa, giallo ocra, dalla carica batterica devastante.
E giù in un sorso. Mi va anche di traverso: meglio anche trachea e narici si sono imbevute dell'essenza di Angela. È come se ci fossimo uniti sessualmente.
Ogni tanto mi viene su il vomito, ma lo blocco in bocca e deglutisco.
Per quello che spruzza fuori dalle narici, lo lecco ovunque cada.