sabato 23 gennaio 2010

Stronzi e sodomia

Finalmente: "Verresti a casa mia dopo il lavoro? Ti faccio vedere la mia topaia".

L'ha detto, e io non ci potevo credere. Finalmente, vera intimità! Io e lui, la nostra prima volta, il senso di una vita che arriva tutto d'un tratto...

Casa sua, tutto sommato, era piuttosto decente per i miei standard. Un parquet vecchissimo e pieno di muffa ospitava pochi mobili e ancora meno termosifoni, in un freddo glaciale che perlomeno mitigava l'odore che solo io, credo, posso definire più che sopportabile.

Cercavamo, come due adolescenti alla prima cotta (quali noi siamo davvero!), di fare conversazione, bofonchiando monosillabi.
Il letto!
Ecco l'unico nostro desiderio.

Mi sono sdraiato sul giaciglio putrido, con le lenzuola nera odor cenere mista a feci. E, con uno spirito di iniziativa che non credevo appartenermi, mi sono messo a pancia in giù e mi sono calato i pantaloni. Le mutande ci hanno messo un po' a venire via, appiccicate com'erano ai peli intorno all'ano da qualche settimana di cacate non pulite a dovere. Scendendo, hanno fatto ai glutei globosi una sorta di ceretta.

Lui, molto più impacciato, si è affiancato a me per baciarmi ruotandomi la testa fin quasi a farmi male. Le nostre lingue fuori dalle fauci, si è risolto tutto in un cordolo di bava fetida colata sul coprimaterasso denso d'urina. Da quel momento, denso anche della mia urina: mi ero appena pisciato addosso.

Spingendolo via, ha capito che doveva avvenire :: la penetrazione!
Bramata da una vita. E sarebbe stato suo appannaggio. Io avrei fatto cilecca.

Andato in bagno a spogliarsi (la sua pudicizia mi conquista), torna con un fallo eretto di dimensioni nella norma, ben oltre il doppio del mio ridicolo mozzicone. Si butta su di me lentamente, con il suo oltre quintale. Fatica a entrare nel mio sfintere: croste fecali ostruiscono la divina unione.

Probabilmente arrivando a farsi sanguinare il membro, riesce infine a superare la barriera di rimasugli organici, per entrare nel mio lurido corpiciattolo con la poca forza di cui è dotato. Il piacere è per me immediato: l'intestino, così incommensurabilmente stimolato, non può che iniziare ad espellere feci, incontrollatamente. La pressione dei miei escrementi ci ha messo poco a respingere quella femminea penetrazione. Dopo le prime piccole e liquefatte cacchette, rilasciate in modo del tutto involontario, non ho potuto che obbedire al mio piacere: e ho iniziato a sforzarmi, spingendo fuori tutta la merda che avevo in corpo.
È stata come un'eiaculazione senza precedenti: mentre il pene restava moscio, come inesistente, il retro espelleva con gioia il suo lordume, e io incurante di cosa Alberto -quasi mi ero dimenticato di lui, ormai solo l'accendino che aveva fatto partire la miccia, subito riposto nel taschino- potesse pensare.
Rumori disumani, di aria che scoppiettava tra una deiezione e l'altra, facevano da contorno alla più palese espressione della mia vitalità. Un peto più forte degli altri mi ha fatto scoppiare un'emorroide, come testimoniato dal copioso sangue che ho rilevato poco dopo.

Mai in vita mia avevo fatto una cacata così piacevole.

Alberto mi guardava pallido e sudato, e il suo sguardo diceva, silenzioso e sconsolato, di andare via.
Alzatomi, ho osservato il letto, mentre dal culo mi colava ancora sangue e cacca diarroica, sul giallognolo smorto. Era un florilegio di feci. Per un attimo, ho avuto la tentazione di lanciare la mia faccia su quel cumulo di letame e batteri. Ma Alberto era troppo sconsolato (o forse si preparava a quando, andato via io, avrebbe potuto mangiare in santa pace tutto quel bene).

Avviatomi mesto alla porta, non ho potuto che andarmene senza salutarlo.

A casa, mio padre, vedendomi tornare con i pantaloni con puzzolentissime strisciate arancioni di cacca, mi chiuso a chiave in camera mia, intimandomi di non orinare finché non aprirà la stanza - pena l'evirazione a forza di calci.

lunedì 11 gennaio 2010

Come in un attimo... è amore

È proprio vero che c'è speranza per tutti.

Lo posso sussurrare: sono innamorato, ricambiato e fidanzato.

Dovevo iniziare a fare lo spazzino al turno dell'alba: con coraggio, ci sono andato, e lì ho conosciuto la persona che ha cambiato la mia vita.

Si chiama Alberto, ha poco più di quarant'anni. Anche lui rinnegato da questo mondo, finito a lavorare quando nessuno lo può -né lo vuole- vedere. Tranne me, che condivido il suo destino.

Non è stato un inizio semplice: per quasi un mese non ci rivolgevamo quasi la parola, se non l'essenziale per coordinare il nostro lavoro. Poi abbiamo iniziato a notare che tra i rifiuti ci sentivamo a nostro agio. Noi, rifiuti tra i rifiuti.

Qualche sguardo tenero, gonfiori malcelati nei pantaloni. I sorrisi con denti incrostati di placche arancio. Poi mi ha insegnato a mangiare le bucce fetide di banana, e il mio seguirlo con passione ci ha fatto capire che poteva essere l'occasione giusta.

Ieri, dopo albe passate sempre più a sfiorarci, ci siamo finalmente baciati. Lui, intenerito e coscienzioso, ha cercato di ritrarsi facendomi notare -come se non l'avessi visto!- che un purulento herpes gli sfigurava il labbro inferiore. Ma non resistevo più. Per fargli capire tutta la mia volontà nel dare una svolta alla mia (nostra!) vita, ho iniziato a suggergli il labbro proprio lì dove svettava la pustola virale. E poi, le nostre lingue patinate di giallo opaco si sono incontrate. Il mio primo bacio. Denti storti che s'incontrano e ogni tanto, inesperti quali siamo, mordono l'interno guancia dell'altro. Saliva che esce penzolante e che raccogliamo con garbo anche se finisce sui nostri guanti lordi di nettezza.

Ormai non vivo che per essere lì all'alba, cullandomi su una nuvoletta chiamata Alberto.